
La moda passa, lo stile resta.
Coco Chanel
Nelle ultime ore ho letto interventi e post di addetti al settore che dicevano (riferendosi a quelli, come me, che davanti alla cyborg sfilata di Gucci hanno gridato all’orrore): Voi che non siete nel mondo della moda non potete capire.
Allora, a parte il fatto che parecchi tra coloro che hanno guardato con occhio inorridito le teste mozzate (ma anche i vestiti) appartengono proprio al mondo della moda, rispondo a questi guru un po’ saccenti come segue.
1 Tacciando il dissenso palese di coloro che non hanno apprezzato lo show come espressione di provincialismo ed ignoranza di chi non appartiene al mondo moda si dimostra ancora una volta quanto autoreferenziale e ridicolo sia diventato il suddetto mondo, ormai un circolo di gente convinta che la ciabatta pelosa sia oggetto degno di spiegazione filosofica più dell’ultimo libro di Umberto Galimberti. Il circolo di Bloomsbury in confronto era il gruppo della bocciofila.
2 A conferma di quanto sopra detto ricorderei il fatto che i giornali in generale e quelli di moda in particolare non li legge più nessuno (purtroppo), le fiere di settore sono sempre più deserte, i negozi al dettaglio sono in crisi e, cosa ancora più grave, si fa sempre più fatica a trovare un ricambio generazionale in tutti quei mestieri del mondo della moda (taglio, cucito, stiratura, modellistica, etc.) che hanno meno appeal della figura dello stilista/creativo/fashion designer. E’ un sistema profondamente in crisi e su questa crisi bisogna avere il coraggio di riflettere scendendo dal proprio piedistallo.
3 La moda è cultura. Economica, imprenditoriale, artigianale, sociologica, merceologica, psicologica, antropoligica, materica. La moda non si può fare senza cultura: bisogna studiare, aggiornarsi, leggere, lavorare, imparare costantemente. La moda, in sintesi, è una cosa seria. Non è, però, patrimonio esclusivo di una élite autoreferenziale. Per fortuna.
4 Esiste il diritto di critica, esiste la possibilità di esprimere un dissenso. Molti stilisti (da sempre) non permettono o non hanno permesso ad alcuni giornalisti di partecipare alle loro sfilate proprio per evitare fastidiose critiche, ritenute dannose dal punto di vista commerciale. Personalmente non lo trovo giusto. Nel momento in cui mi espongo con il mio lavoro, nel momento in cui esprimo pubblicamente un mio pensiero, mi espongo alla possibilità che ci siano molti o qualcuno a cui non piace ciò che faccio o non è d’accordo con ciò che dico. Se non piace ciò che faccio è semplice: non lo si compra e basta. Se non si è d’accordo con quello che pubblicamente esprimo, si può esporre una idea diversa o dissentire. L’unica regola (vale per me e per tutti) è che lo si faccia nei modi e nei toni consoni. Altrimenti non è dissenso ma insulto.
5 Un contributo fondamentale a livello creativo e commerciale lo hanno dato alla moda tutti i fenomeni culturali che arrivavano sotto/contro la cultura mainstream. Dai bohemien ai punk, al rave, agli hippie, hip pop, ai surfisti californiani e agli esistenzialisti (solo per citarne alcuni) è molto interessante vedere come le espressioni culturali e le mode delle cosidette minoranze siano state intercettate dal sistema moda che le ha assorbite, rielaborate e rivendute. L’operazione della cyborg sfilata di Gucci a me è sembrata piuttosto un esperimento da laboratorio intellettuale, una visione personale dell’umanità futura alienante e terrifica, un progetto geniale di comunicazione in cui gli abiti vengono al secondo posto.
6 Vorrei ricordare a chi fa vestiti che fa un lavoro meraviglioso e difficile ma non è un neurochirurgo, un ricercatore del Cern, non fa il volontario all’Istituto dei Tumori, non sa come si coltivano i campi, non sa come si costruisce una casa. In sintesi: vediamo di darci una calmata e di non perdere il senso del ridicolo. Un paio di mutande firmate può essere meraviglioso, però non ci sfamiamo l’umanità.
7 Infine, una considerazione personale. Il problema non sono state solo le teste mozzate. Ma gli outfit presentati, vogliamo dirlo? Un altro orrore. Però, forse, è vero: dopo la guerra atomica chi di noi sarà sopravvissuto non potrà che vestirsi così. Senza stile.
©Maria Cristina Codecasa Conti
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