Autunno Americano #13

Schermata 2018-02-23 alle 22.00.19

La sera, quando ceniamo, mia madre e mio padre non si rivolgono la parola. Mia madre parla solo con me e attraverso di me a mio padre. Andrete a pesca con zio Ted questa domenica? Mio padre mangia guardando il notiziario alla tv, ogni tanto se ne esce con un Ma tu guarda questo figlio di puttana oppure Era meglio quando c’era Ronald Regan o anche Di questo passo dove andremo a finire, poi si alza, mi dà un buffetto sulla testa e si sdraia sul divano davanti ad un’altra televisione. Ti lascio qualche dollaro sul comò, ti possono servire. Mia madre sparecchia silenziosamente la tavola, toglie con maniacale precisione gli avanzi dai piatti, riempie la lavastoviglie, controlla la lista della spesa, controlla se il gas è chiuso, controlla se la porta su retro è chiusa, spegne tutte le luci e poi si eclissa. Andrò di sopra a leggermi un buon libro.

Io mi sento spesso l’arbitro di una partita di tennis fra due giocatori che hanno perso la voglia di vincere. Soffro di mal di stomaco, ogni tanto mi vengono delle fitte dolorosissime: mi devo sdraiare sul letto e aspettare che passino respirando lentamente. Una volta mi hanno ricoverato nell’infermeria della scuola, il medico mi ha chiesto se avevo problemi nello studio o a casa, mi ha spiegato che stavo somatizzando dello stress. Avrei voluto dirgli che il silenzio della mia famiglia sta avvolgendo la mia vita come una nube tossica e che l’unico motivo per cui non taglio la corda è che ho 15 anni, non ho un soldo e, diciamolo, nemmeno tanto coraggio.

Hai bisogno di scaricare lo stress? Vai a correre. E’ stato il laconico consiglio del medico. Ho guardato in silenzio la sua faccia annacquata dalla rassegnazione, gli occhiali appoggiati sul naso, il suo tavolo pieni di libri e scatole di medicine scadute e ho pensato che il mio dolore non poteva essere liquidato con un suggerimento da spot pubblicitario. Eppure.

Vai a correre.

Ho iniziato a pensarci. A tavola, ho cercato riparo dal silenzio dei miei genitori iniziando ad immaginarmi dei percorsi possibili. Degli orari possibili. Avrei dovuto dirglielo? Avrebbero mostrato qualche interesse? Sarebbe stata una notizia utile per creare almeno una crepa nel muro che li divideva? Mio padre mi avrebbe proposto di andare a correre insieme? E mia madre, si sarebbe offerta di accompagnarmi al centro commerciale per trovare qualche scarpa da running in saldo? Tutte queste domande si infrangevano contro l’immagine di lei che divide nevroticamente i resti della cena nella raccolta differenziata, fresca di messa in piega, la lista della spesa attaccata al frigorifero, gli abiti di mio padre da portare in tintoria accanto alla porta sul retro della casa, il desiderio anzi la necessità di contenere una sofferenza che senza questa meticolosa organizzazione esploderebbe.

Vai a correre.

Ho iniziato una mattina all’alba. Nessun accorgimento particolare, nessuna scarpa nuova, nessun itinerario studiato e prestabilito. Nessun avviso ai miei, nessun cellulare. Solo le chiavi di casa. Ho iniziato a correre, ne ho sentito subito la fatica, mi ha assalito la paura di non farcela, il dubbio di non avere il fisico adatto, la tentazione di mollare. E’ stata una lotta con me stesso che è durata almeno venti minuti. Poi, improvvisamente, come se fino ad un istante prima non me ne fossi accorto, ho iniziato a sentire. E a vedere.

Il sole che sta sorgendo, il profumo del mare che arriva dalla baia, la natura che si sveglia, le luci che si accendono nelle case. Un silenzio così diverso da quello a cui sono abituato a casa mia, un silenzio denso di vita. Ed il mio corpo che inizia a rispondere e io che inizio a riconoscerlo. Mi sono fermato per prendere fiato, ho guardato un cane che trotterellava accanto al suo padrone ed una ragazza con lo sguardo assonnato che sistemava le tazze sopra i tavolini di un coffe shop.

Ho visto visto intorno a me la vita e ho provato un inaspettato ed immenso senso di gratitudine.

Sono rientrato a casa dopo un’ora, stanco di una fatica nuova, vitale, sana. Ho sentito che il mio corpo e la mia testa si erano alleggeriti, che insieme al sudore avevo buttato fuori anche una discreta dose di energia negativa, di brutti pensieri, di tristezza.

Da allora vado a correre tutti i giorni. Tutti i giorni ho bisogno di ritrovare questa condizione di benessere. E’ una abitudine che è stata accolta dai miei genitori con la stessa indifferenza riservata al ragazzo che porta il giornale la mattina o alla notizia di un terremoto dall’altra parte del mondo. Mia madre continua a specializzarsi nella raccolta differenziata, mio padre continua a rimpiangere Ronald Regan.

E io continuo a correre. Lontano da loro.

Incontro a me.

Testo e foto (Grand Canyon, Arizona, 2017) ©Maria Cristina Codecasa Conti

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