Non sono io che mi perdo. Sono gli altri che non mi trovano. È sempre stato così fin da quando ero piccola. Dov’è Maud? Avete visto Maud? Qualcuno ha notizie di Maud? Ma io ero sempre lì, nella mia stanza al primo piano in fondo al corridoio, davanti allo specchio, ad immaginarmi vite possibili. Fa caldo stasera a Las Vegas, vedo le sue luci sterminate dalla finestra della mia camera di questo albergo al confine con il nulla. Mi hanno mandato qui perchè qui vengono tante persone anziane. Come te, Maud. Ma io non mi sento vecchia, non ho voglia di sentirmi vecchia. Quindi stasera vado al casinò. Si, stasera vado al casinò. Ti perderai, mi hanno detto. Ti perderai, Maud, come al solito. Ti perderai perché Las Vegas è una città immensa e le sue luci ipnotizzano ed il vento che arriva dal deserto porta con sé tante voci che possono farti impazzire. Ma io al casinò ci vado. Ci vado eccome. Il migliore della città. Perché se io perdo, perdo con classe. Ho sempre perso con classe, nella mia vita. Ho chiesto al portiere dell’albergo di prenotarmi un taxi. Ho questo vestito rosso nella valigia che è un capolavoro ed è perfetto per la serata. Per fortuna me lo sono portato. Cosa ti porti a fare un vestito così a Las Vegas, Maud? Mi hanno chiesto. Cosa pensi di fare con un vestito così a Las Vegas, Maud? E’ di un rosso favoloso, questo vestito, un rosso Valentino. L’ho messo l’ultimo capodanno che ho trascorso con mio marito, prima che lui morisse, prima che il medico ci dicesse che aveva tre mesi di vita, prima che io vedessi il mio futuro sbriciolarsi e l’ombra lunga della mia solitudine arpionarmi le braccia. Mio marito è morto in anticipo rispetto ai tre mesi che avevano previsto i medici, è morto sulla sua poltrona, accanto alla finestra da cui osservava silenzioso il plumbeo orizzonte della baia. Un grande amore, il nostro. Peccato quel suo figlio così infelice e dannato, ci ha messo un bell’impegno a rovinarci la vita. A cosa pensi Maud? Mi chiedeva mio marito. A nulla, Eric. Io ho te che mi riempi la testa di tutti i pensieri possibili, Eric. Ma non si può non avere pensieri, Maud, forse dovresti ricominciare a prendere le pastiglie che ti ha dato il medico e a bere un po’ meno. Lui non mi credeva, ma a me non servivano i miei pensieri perchè avevo lui. Il mio pensiero era lui. E quando è morto ho sentito la mia testa vuota, mi sono sentita vuota, non ho più emesso suoni, né versi, non ho pianto, non ho urlato, ho perso la voce. Dove sei, Maud? Qualcuno ha notizie di Maud? Questo abito è favoloso e mi sta un’incanto. Quella cretina della parrucchiera dell’albergo mi ha fatto una messa in piega orrida, non smettevano di guardarsi lei e le sue amiche quando ho chiesto che mi venisse portato un bicchiere di bianco all’ora in cui di solito si prende un caffè. In qualche modo la sistemerò, questa maledetta piega. Non andare da sola al casinò, Maud, mi hanno detto detto. Sei una donna di una certa età, Maud. Sei una donna sola e rispettabile, Maud, non sta bene che una donna sola e rispettabile vada al casinò. Non sta bene a chi? A quelli che, dopo la morte di mio marito, facevano finta di non conoscermi quando mi incrociavano al supermercato spettinata, il carrello pieno di bottiglie di vino, la mia vestaglia da casa? A quelli che dicevano che il povero Eric si sarebbe meritato una moglie migliore, non di certo la figlia di un operaio disoccupato di Detroit e della cassiera di un supermercato di provincia che non erano stati neanche in grado di prepararle una dote come si deve? Dovresti prenderti una vacanza, Maud. E io me la sono presa, questa vacanza. Ho fatto come mi hanno detto, ho fatto come volevano. Ho fatto quello che volevano. Sono venuta qui a Las Vegas, Nevada. E questa sera vado al casinò, il migliore della città. Col mio abito rosso Valentino. Non occorre che mi porti dietro molte cose. Mi giocherò un centinaio di dollari, non di più. Di più è da cafoni. Il mio rossetto, il cellulare. L’indirizzo dell’albergo no, non mi serve. Saprò tornare indietro, in taxi o anche a piedi. Saprò ritrovare l’albergo, riconoscerò la strada, l’insegna rosa fucsia, la fermata dell’autobus di fronte. Perchè io non mi sono mai persa nella mia vita. Mai. Sono gli altri che non hanno mai voluto trovarmi.
Testo e foto (Las Vegas, 2017) ©Maria Cristina Codecasa Conti