Attesa | Autunno Americano #018

Autunno Americano, 2018 (c) Maria Cristina Codecasa Conti

Ho imparato presto ad aspettare. Giorni, mesi, anni.

Ho imparato presto a decifrare l’orizzonte per potere riconoscere in un riflesso sul mare quello dell’albero maestro di una nave che sta rientrando a casa.

Me lo hanno insegnato sin da piccola le donne della mia famiglia, cucendo la sera sedute attorno alla stufa in quella unica stanza dove i verbi dormire, mangiare, pregare, fare l’amore convivono pacificamente da secoli. Ho ventuno anni, tre figli che messi insieme non raggiungono i dieci anni di età, un marito che vive in mezzo al mare e poi, qualche volta, non più di quanto io possa chiedere – accanto a me. Insieme agli uomini del mio villaggio, trascorre la sua vita cacciando le balene, perchè le balene ci danno da vivere. Navigano su barche fatte con il legno dei nostri boschi, se le osservi bene puoi vedere ancora le sfumature dorate delle foglie d’autunno e sentire il profumo del muschio che ricopre
le radici. Dormono in cuccette accatastate le une sulle altre, tutti i loro averi stanno in un sacco di tela appeso accanto al cuscino. Le camicie e i pantaloni che noi donne cuciamo e rammendiamo, le lettere che ci scrivono la notte mentre navigano in mezzo alla tempesta. I loro sogni sono i nostri sogni.

Ho imparato presto a coltivare la speranza, a nutrirla con la fede.

La fede ci sostiene come l’albero maestro sostiene le vele, ci inchiniamo dinanzi all’Ignoto con la certezza che saprà quanto ci è costato affidargli la vita dei nostri figli, dei nostri fratelli. Preghiamo perchè la preghiera è il nostro conforto ed il nostro rifugio, preghiamo mentre guardiamo salpare le navi cariche dei nostri uomini che saliranno sempre più a nord, fino ai ghiacci più estremi. E mentre li salutiamo, custodiamo in segreto nei nostri cuori le parole con cui li abbiamo abbracciati nell’intimità delle nostre stanze.

Ho imparato presto ad esercitare la pazienza.

Accetto il tempo che passa nello stesso modo in cui accetto il colore degli occhi con cui sono nata ed il profumo dei capelli dei miei bambini, c’è qualcosa di immensamente grande ed ineluttabile in questo dono che è la vita. La pazienza è una disciplina. Occorre coltivarla con la stessa cura ed attenzione con la quale coltiviamo le ortensie sbiadite nel nostro giardino, quella zolla di terra selvaggia che non si stanca di rivolgere il suo sguardo verso l’oceano. Insegno la pazienza ai miei figli. Devono abituarsi presto a non avere fretta. A non correre a perdifiato verso il loro futuro, perché potrebbero inciampare nel loro disincanto ed io voglio che crescano sapendo che ci sarà un tempo per ogni cosa.

Ho imparato presto a convivere con la mia paura.

La sento spesso, di notte, accanto a me. È come il respiro di un vecchio cane. Per poterla domare, ho dovuto affrontarla, parlarle come si fa con un amico ritrovato, sedermi con lei di notte accanto alla stufa, mentre i miei bambini dormono. Ho dovuto mostrarle le mie lacrime, svestirmi delle mie certezze, balbettare nomi che ho paura di dimenticare. Ma non ho ceduto, e lei lo sa. Perché nella penombra ha visto il mio coraggio e sa quanto è ostinato e indomabile. Sa che può togliermi tutto ma non quella ghianda dorata che io custodisco in fondo al mio cuore.

Perché io so che lui tornerà.

Testo e foto (c) Maria Cristina Codecasa Conti

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