Quello stridente contrasto.

Ci volevano due “grandi vecchi” della moda italiana per evidenziare la surrealità del fashion show in questi difficili giorni ed ore su cui si allunga l’ombra cupa di una guerra di fronte alla quale non è possibile (eticamente, politicamente ed economicamente) restare indifferenti.


Giancarlo Giammetti, 84 anni, socio storico di Valentino Garavani, non ha usato mezzi termini e sul suo account Instagram ha scritto ieri: “The illogical lack of compatibility between fashion shows and the Ukraine situation is something that has to be addressed… I don’t know the answer… do you? “.
Giorgio Armani, 87 anni, ha fatto sfilare la sua collezione in silenzio e ha spiegato commosso questo gesto come segno di solidarietà nei confronti del popolo ucraino.
Non è un caso che a farci riflettere su questo sfasamento della realtà siano stati due signori che per età anagrafica ben si ricordano che cosa significhi vivere sotto la quotidiana minaccia dei bombardamenti.


Questa consapevolezza (e statura morale) stride con ciò che si è visto nei giorni della settimana della moda. Non solo e non tanto nei contenuti stilistici (se e quando c’erano) ma soprattutto nel racconto quotidiano di questi, attraverso post ed immagini spesso surreali se non ridicoli; l’impressione era che, più che fare una cronaca della moda, fosse importante testimoniare come sempre una sola cosa: “Io c’ero”.


Intanto a Mosca il Garage Museum, uno dei più importanti musei di arte contemporanea, ha chiuso temporaneamente i battenti come forma di protesta contro il governo russo e la scellerata decisione di invadere l’Ucraina. Una scelta coraggiosa perché, come si sa, la Russia è uno di quei paesi in cui per la libertà di espressione si rischia la galera (e su questo tema dovrebbero ben riflettere, come ha scritto ieri Aldo Grasso sul Corriere della Sera, tutti coloro che in questi mesi, alle nostre latitudini, hanno parlato di “dittatura sanitaria” a proposito dei vaccini per il covid: perché le parole hanno un peso e bisogna imparare ad usarle con intelligenza, altrimenti è meglio tacere).
Le motivazioni con cui il Garage Museum di Mosca ha pubblicamente spiegato la chiusura sono queste: “Non è possibile sostenere l’illusione della normalità quando si verificano tali eventi”.


Ecco, mai come in questi giorni abbiamo potuto assistere alla totale mancanza di collegamento del settore moda alla realtà; e, se non tutto, di una buona parte di questo. Mai come in questi giorni è stato stridente il contrasto tra le immagini di pizzi e merletti e quelle della gente ammassata nelle metropolitane ucraine per scampare alle bombe. Perché nel 2022 l’uso della tecnologia ci consente di essere testimoni in diretta di ciò che accade nel mondo e questo comporta anche delle responsabilità: non possiamo voltare lo sguardo. Sono i diritti e doveri della globalizzazione, bellezza: se tanto amiamo proclamarci cittadini del mondo, allora cerchiamo ogni tanto di dare un senso a queste parole anche in termini di coscienza civile (come ha giustamente ricordato un altro “grande vecchio”, Oliviero Toscani, 80 anni).


Ed anche chi la moda la racconta, per hobby o mestiere, dovrebbe uscire dalla propria bolla ed iniziare a fare i conti con la realtà. Non perché non abbia senso parlare di abiti, ma perché bisognerebbe iniziare a dire che sono gli abiti a dover ritrovare un proprio senso. E a volte bisognerebbe anche avere il coraggio (un coraggio, diciamocelo, assai più lieve rispetto a quello di chi esprime un dissenso in paesi come la Russia, per esempio) di fare un passo indietro, di non cedere alle lusinghe dei benefit del proprio presenzialismo (soprattutto in termini di virtuali consensi al proprio narcisismo) ed avere l’onestà intellettuale di riconoscere che siamo di fronte a dei cambiamenti di tale portata che si ha bisogno di un giusto tempo di riflessione per tornare a dire qualcosa di sensato. Sia in termini di collezioni che di parole.


Nel frattempo, magari torniamo a studiare chi come Camilla Cederna, Natalia Aspesi, Adriana Mulassano ha saputo raccontare la moda con la profondità e lo spessore che la moda merita e deve tornare ad esprimere.

(c) Maria Cristina Codecasa Conti
Foto (c) Giancarlo Giammetti