Vita in quarantena, dieci domande: Mirella Borgocroce, Milano.

Dieci domande per capire come si sta vivendo la quarantena.
Risponde Mirella Borgocroce, Milano.

1 Tutti dicono che la vita dopo la quarantena sarà diversa. Lo pensi anche tu?

Io più che altro me lo auguro, e mi impegnerò con tutte le forze perché accada. In queste settimane ho attraversato esperienze personali drammatiche, che mi hanno spinta a chiedermi cosa io possa fare, quale sia il contributo che sono in grado di offrire. Il periodo precedente alla pandemia aveva già mostrato i limiti enormi del nostro stile di vita, irrispettoso nei confronti dell’ambiente, delle altre creature viventi, degli economicamente deboli. Non possiamo e non dobbiamo più tornare a quel modo di vivere come se niente fosse accaduto. Ognuno di noi dovrebbe assumere un comportamento responsabile, senza aspettarsi che siano i potenti a risolvere i problemi: questo sì che sarebbe davvero utopistico! Molto più realistico pensare a un cambiamento della società che sia conseguenza della rivoluzione interiore, psicologica ed etica, di molte persone .

2 Come trascorri le tue giornate?

Le mie giornate sono sempre troppo brevi per quello che vorrei metterci dentro. Davvero non riesco a capire le persone che si annoiano. Ho dovuto occuparmi attivamente di mio marito, che si è ammalato in corsia, come tanti medici suoi colleghi. Ho fatto l’infermiera, insieme a mia figlia, fino al momento del ricovero. Poi, come potrai immaginare, sono subentrate preoccupazioni e ansia e ho avuto bisogno di raccogliermi in me stessa. Quindi nella quarantena non mi è mancato nulla del mondo fuori casa, a parte dovermi procurare il necessario, ma a quello hanno provveduto i miei meravigliosi amici. La situazione ha implicato anche un grande sforzo extra per mantenere igienizzata la casa, per la sicurezza di tutta la famiglia. Quindi, benché io odi in generale dedicarmi troppo alle pulizie, ho dovuto affrontarle con particolare scrupolosità e direi quasi paranoia, operazione che ruba molto tempo. Ogni giorno, poi, ho lavorato con i miei alunni con la didattica a distanza, cercando di trasmettere, oltre alle video-lezioni e ai compiti corretti, anche la possibilità di confrontarsi, di parlare delle paure che li stanno attanagliando, a volte sottovalutate.
Ho passato tutto il resto delle giornate meditando, leggendo, rispondendo ai messaggi degli amici, cercando di portare un po’ di luce dove percepivo angoscia. Infine, ma non in ordine di importanza, ho cercato di dedicarmi ai figli che hanno vissuto a casa con me questo periodo tremendo, e col padre in rianimazione.

3 In che modo ti tieni quotidianamente in contatto con i tuoi familiari, amici o colleghi di lavoro?

Per lavoro uso le applicazioni di Google Suite, in particolare Classroom e Meet Hangouts, ma per gli amici trovo molto pratici i messaggi vocali perché mi permettono di poter ascoltare nel momento più opportuno. Le videochiamate le ho usate per rivedere mio marito quando è finalmente uscito dalla rianimazione, dopo essere stato intubato per due settimane. La prima ci ha procurato una felicità profondissima: lui non poteva ancora parlare, aveva il tubo dell’ossigeno in gola, ma gli infermieri ci hanno dato la possibilità di vederlo e dirgli qualcosa. L’ultima modalità di contatto è stata la meditazione: davo, ad esempio, appuntamento ad una o più persone per farla nello stesso momento, seppure a distanza. Si scopre così che la sintonia del cuore funziona meglio di Internet.

4 Quale delle tue abitudini ti manca di più?

Sicuramente poter rivedere i miei fratelli che vivono in altre regioni. E viaggiare in generale.

5 In che cosa eri impegnato/a prima che scoppiasse la pandemia?

Avevo in programma diverse presentazioni del mio libro “Il ragazzo fortissimo”, edito da Sonzogno, a cui tenevo molto. Tra queste l’incontro con te all’Orto di via Solferino a Brescia. Mi è dispiaciuto moltissimo doverle rimandare a data da destinarsi, perché il messaggio di quel libro è ancora quello che attualmente vorrei urlare a squarciagola: la meraviglia di poter percepire, attraverso le esperienze più dolorose, anche l’eternità e la perfezione della vita e la necessità urgente di una filosofia che ci guidi nelle nostre scelte, affinché siano etiche e rispettose.

6 Cosa ti pesa di più dell’isolamento?

Senz’altro non poter vivere la dimensione sociale incontrando di persona gli amici. E ancor più mi addolora che non possano farlo i miei figli, che hanno una 20 e l’altro 18 anni. Per loro stare in isolamento, lontano dagli amici, è una privazione enorme.

7 Pensi che questa possa essere l’occasione di una crescita o trasformazione personale e collettiva?

Dal punto di vista mio personale, non ho dubbi che lo sia, dato che mi sto impegnando molto in questa direzione. Agli altri auguro lo stesso. Sono convinta che il principio buddista di “trasformare il veleno in medicina”( hendoku iyaku in giapponese) sia più che mai adatto a questo periodo: ovvero trasformare attraverso la preghiera, la meditazione, una cosa brutta, un veleno appunto, in un guadagno: in qualcosa che per la nostra vita diventi una benefica medicina. Perché questo sia possibile, a livello sociale, è necessario che tante persone abbiano fatto un percorso interiore di trasformazione. Se questo non avviene, ho i miei dubbi che potremo vederne il riflesso nella nostra società. Ma sono ottimista.

8 Questo periodo è stato un incubatore di nuove idee e progetti?

Direi di sì. Tra un impegno e l’altro sono andata avanti con la scrittura del mio prossimo libro e ho letto tanto, cosa che senz’altro ha a che fare con la qualità della scrittura stessa. Soprattutto, la trasformazione indotta da una profonda meditazione porta sempre a un grande cambiamento, perché è come seminare nella profondità della propria vita.

9 Nei prossimi mesi pensi di dover cambiare anche tu il tuo modo di lavorare?

Le dinamiche di gruppo che si sviluppano in una classe non hanno nulla a che vedere con un’interazione virtuale. Sicuramente ho imparato ad usare strumenti che potranno tornare ad essere utili in futuro, ma per quanto riguarda a scuola non vedo l’ora di poter interagire di persona coi ragazzi. Sono due modi molto diversi e i miei alunni si rendono conto di quanto manchi loro lo stare in classe coi compagni. La scrittura, invece, è un lavoro solitario e persino la fase dell’editing si fa tranquillamente a distanza, anche senza le attuali restrizioni.

10 Il giorno che terminerà la quarantena, quale sarà la prima cosa che farai?

Abbraccerò gli amici e andrò a trovare i miei fratelli.

Milano, aprile 2020.

(c) Maria Cristina Codecasa Conti