Storia di Edith, che ha perdonato se stessa.

Košice, Ungheria, 1944.


Edith Eger è una giovane adolescente di quindici anni che ama la danza, frequenta il ginnasio ed è membro della squadra olimpica di ginnastica del suo paese. La sua è una normale famiglia borghese: due genitori, tre figlie femmine, una quotidianità fatta di studio, lavoro, scaramucce e molto, molto amore. Anche la vita di Edith è una vita normale, simile a quella di tanti suoi coetanei, se non fosse per un particolare: Edith è ebrea. Tra il 1939 e il 1941 il Governo del suo paese introduce le leggi antisemite e per Edith e la sua famiglia la vita cambia per sempre.


Nel 1944 vengono deportati ad Auschwitz, solo Edith e una delle sue sorelle di salveranno dalla camera a gas. La selezione la fa il dottor Josef Mengele in persona, l’Angelo della Morte: fa ballare ad Edith qualche passo di danza, la osserva con uno sguardo gelido e alla fine la premia con una pagnotta. E la vita. Una volta nella sua baracca, Edith dividerà quel pezzo di pane con gli altri prigionieri.
Dopo essere passata dal campo di Mauthausen, insieme a centinaia di altri prigionieri viene costretta a camminare per 55 chilometri (la marcia della morte) fino al campo di Gunskirchen in Austria. Qua nel 1945 viene liberata dagli Alleati. Sepolta sotto decine di corpi senza vita, Edith viene salvata da un soldato americano il quale, vedendo una sua mano muoversi debolmente, capisce che la ragazza è ancora viva. Edith ha diciotto anni.


Dopo essersi sposata con Béla Eger, un ebreo e partigiano ungherese sopravvissuto come lei all’Olocausto, nel 1949 emigra negli Stati Uniti per ricominciare una nuova vita. Non è facile: Edith per sopravvivere deve fare lavori umilissimi e molto duri. Non conosce la lingua. Non ha amici, né parenti. Ma più che i problemi economici e la difficoltà di inserirsi in un paese con lingua e cultura diversi, sono i fantasmi dell’orrore vissuto che rendono dolorosa e a tratti insopportabile la sua esistenza. Il dolore per la perdita della sua famiglia. L’eco delle atrocità subite e di quelle di cui è stata testimone. Le ombre oscure del Nazismo. Ma soprattutto il senso di colpa di chi è sopravvissuto. Edith rifiuta di parlare della sua esperienza. Ma questa esperienza, lentamente, la sta spegnendo.
Per questa ragione inizia un percorso di psicoterapia con Viktor Frankl, psichiatra ebreo austriaco. Un sopravvissuto, come lei. Grazie al lavoro con il dottor Frankl, dopo trentacinque anni ritorna ad Auschwitz dove, per la prima volta, riesce a perdonare l’unica persona che per decenni non era riuscita a perdonare: non Hitler, non Mengele, ma se stessa. Edith.


Nel 1969, a quarantadue anni, si laurea in psicologia clinica alla El Paso University in Texas. Si specializza nel trattamento dei disordini da stress post traumatico e per anni lavora con i sopravvissuti di guerra (tra cui quelli del Vietnam).
Nel 2017, sulla base della sua esperienza catartica vissuta durante la visita ad Auschwitz, scrive un libro, “La scelta”, che diventa subito un successo internazionale. Il titolo non è casuale: è la scelta di sopravvivere, di perdonarsi, di non rimanere prigioniero dei mostri del passato, di spezzare le catene della paura. È la scelta di trovare la strada e gli strumenti per ritrovare la libertà personale. Le catene, scrive Edith, non sono solo quelle dei Nazisti ma anche quelle delle nostre paure. Tutti le abbiamo, non solo chi è stato in un campo di concentramento.


Nel Giorno della Memoria rendo omaggio alla Dottoressa Edith Eger, una guerriera di novantacinque anni capace di raccontare gli orrori ed i miracoli di cui può essere capace l’essere umano.

Edith Eger è molto attiva sui social. Il suo account Instagram è @dr.editheger, il suo sito è www.dreditheger.com.

Vi consiglio di leggere il suo libro.

(c)Maria Cristina Codecasa Conti

#giornatadellamemoria