L’angelo della porta accanto: Gina Volontè.


gina

Mentre le parli, Gina ti guarda con i suoi grandi occhi azzurri, severi e sorridenti. Ogni tanto ti prende le mani, te le stringe. Ha una risata aperta e contagiosa, pulita come il suo grande cuore. Da tempo volevo raccontare di lei, della sua storia. Sapevo che è una donna dedita al prossimo, generosa, instancabile. Sempre pronta a tendere una mano, ad aiutare chi ha bisogno, a dare il suo contributo ad associazioni ed attività benefiche. Sapevo che era stata ed è una grande lavoratrice, una madre di famiglia che, come si dice, ha tirato su due bravi ragazzi per i quali, insieme al marito Francesco, ha fatto tanti sacrifici: un maschio ed una femmina, che le hanno dato dei nipoti  – Milena, Alessandro, Marta e Filippo (pronipote!). Ma non era solo, la mia, una curiosità aneddotica. Sentivo il bisogno di parlare e di avvicinarmi a questa donna perchè mi comunicasse un po’ della sua forza. Perchè è questo che Gina trasmette: forza, energia buona, amore per la vita, coraggio. Fede. 



 

Così ci siamo ritrovate sedute al tavolo di un bar, una di fronte all’altra. E la storia di Gina si è dipanata davanti a noi con allegria, precisione, nessun rimpianto. 
Gina nasce a Rovi Porro, nel comasco. Fin da piccola sente una vocazione innata per l’aiuto al prossimo, frequenta l’oratorio, pensa di diventare una suora laica. Nella sua famiglia ci sono già due cugine suore, una missionaria e una di clausura. Famiglia solida, quella di Gina, semplice, unita dalla dignità, dalla fede, dal lavoro. Dall’impegno al servizio degli altri. 

Finite le elementari, Gina va a lavorare come impiegata in uno stabilimento che produce statuine per il presepe. Ha circa 15 anni quando incontra Francesco, il suo futuro marito. Lo vede prima riflesso in uno specchio e rimane colpita da questo bel ragazzo, garzone di bottega. Non esattamente il tipo di partito che un padre ed una madre desidererebbero per la loro figlia. Infatti non sono affatto contenti. Ma Gina difende con le unghie e coi denti questo ragazzo col quale trascorrerà la sua vita: sa che non è benestante ma riconosce in lui una grande forza di volontà e la disciplina del lavoro, il desiderio di costruire qualcosa, una solidità di tipo diverso – morale. 



 

“Se possiamo sfruttare quello che abbiamo per potere aiutare il prossimo, lo dobbiamo fare”: sono queste le parole che Gina ripete ai suoi genitori. Ma sono anche le parole che dice rivolta a me, come monito – lo so. E’ una indicazione del cuore, per il cuore. Sa, ha capito, che uno dei più grandi doni che possiamo fare al prossimo è offrire una possibilità. E infatti con Francesco non si sbaglia. Durante la guerra, i bombardamenti sono per loro l’occasione di vedersi senza che le malelingue abbiano qualcosa da dire. Quando la mattina presto esce dalla messa, Gina corre alla stazione per poterlo salutare prima che lui salga sul treno che lo porta a Milano, dove lavora. 



Si sposano il 10 novembre del 1952. Lei ha 22 anni. “Ti farò vedere le foto del matrimonio, perchè quel giorno ero raggiante.” Ed io non stento a crederlo: li vedo i suoi grandi occhi azzurri che sorridono al mondo, le sue mani che stringono mani, la gioia degli anni carichi di futuro davanti a sè. Vanno a vivere a Milano, nel retrobottega della salumeria dove lavora il marito. Che si dimostra essere quello che Gina aveva sempre saputo: un ragazzo in gamba, tanto che il titolare gli lascia in gestione l’attività del negozio. Ed è in quel negozio, poi divenuto di loro proprietà, che Gina lavorerà insieme a Francesco per cinquant’anni.

 



Ma Gina, in quegli anni, tiene anche un quaderno su cui annota, ogni giorno, tutte le cose che farà quando smetterà di lavorare. Una ricetta, un lavoro a maglia, un viaggio, un libro.
Io vorrei vederlo, questo quaderno. Deve essere qualcosa di davvero magico come è magico tutto ciò che ha a che fare con i nostri sogni ed i nostri desideri. Forse sono convinta che da qualche parte, in questo quaderno, si nasconda una ricetta magica per affrontare le difficoltà, il dolore, le fatica del vivere. Forse credo che questo quaderno racchiuda tutta l’energia buona di questa donna, la sua forza: e che leggerlo, sfogliarlo, possa sortire un effetto terapeutico. Trovo in ogni caso meraviglioso che una persona tenga un diario non della propria vita ma dei propri desideri: dovremmo farlo tutti.

 



Molte delle cose che si era annotata, Gina le ha fatte. Altre, che non si era annotata e che mai avrebbe immaginato, le ha fatte lo stesso. Forse non le  immaginerebbe nemmeno chi, guardando Gina, non vede o non vuole vedere in questa donna minuta, discreta e di grande fede anche una donna capace di grandi passioni – per la vita, innanzitutto. Per suo marito, per il quale si è messa a prendere lezioni di ballo (di nascosto) per poter condividere la sua passione.
Per la sua famiglia, il suo lavoro, gli amici. Ma anche per l’Inter, per esempio, squadra di cui è una accanita tifosa. Ha iniziato ad andare allo stadio per accompagnare suo figlio e da lì a diventare una delle più entusiaste supporter della squadra meneghina il passo è stato breve (conoscendola). Tanto che quando suo figlio ha smesso di frequentare lo stadio, lei non si è fatta alcun problema ed ha continuato ad andarci da sola.

Alla fine di questa lunga chiacchierata, ho fatto a Gina, vergognandomi un po’, la domanda più stupida: “Come si fa ad essere felici?”. Lei mi ha afferrato le mani e le ha strette forte, mi ha guardato con i suoi grandi occhi e mi ha dato una di quelle risposte che nella loro apparente semplicità ti inchiodano ai tuoi doveri. Morali, sentimentali, esistenziali. E ti ricordano che molte cose se non tutte vanno conquistate giorno per giorno, con forza, coraggio e fede.
 “Molte persone la tristezza se la vanno a cercare. Ma che motivo abbiamo per essere malinconici? Con tutto quello che possiamo e dobbiamo fare per gli altri e per realizzare noi stessi.”
Ringrazio Gina Volontè per avere condiviso con me la sua storia, stringendomi forte le mani.
PS: La foto di Gina è stata fatta il giorno della laurea di suo nipote Alessandro.
Testo ©Maria Cristina Codecasa Conti

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